10 cose che raddrizzano una giornata storta

Succede che certe mattine mi svegli con il piede sbagliato: tutto è storto, niente è come avrebbe dovuto.
Vorrei mettere il rewind non per possedere qualcuno sulla poltrona di casa sua ma solo e soltanto per tornare a ieri sera, ritentare che magari sarò più fortunata – oppure il fast forward che va bene uguale, arriva domani e non ci penso più.
E invece no,  c’è davanti l’oggi e oggi dice male.

Ci sono però piccolissime cose che, quando succedono, rimettono tutto dove dovrebbe stare: basta notarle e, che so, farci un quadro da appendere sul frigo per non rischiare di dimenticarcele.

  • Quando il sole filtra dalla finestra e si vede la polvere danzare, e respirando il tepore dei raggi si nota che oggi si potrà andare a piedi o in bicicletta.
  • Quando mio figlio si sveglia prima di me, e mi fa aprire gli occhi con baci appiccicosi sulle guance e un dolce ‘mamma’.
  • Quando ho in programma un viaggio e si avvicina ogni giorno un po’ di più.
  • Quando il cane mi urla ti voglio bene facendomi le feste appena metto un piede giù dal letto.
  • Quando penso che la Nutella sia finita e invece no
  • Quando mi sveglio col profumo del caffé appena fatto che sta aspettando solo me.
  • Quando proprio va di lusso e trovo un messaggio con un cuore stampato sopra al cellulare, mai così carico.
  • Quando dormo otto ore di fila, senza interruzioni.
  • Quando mi aspetta una serata da ricordare: che sia con le amiche, l’amore o la famiglia, che sia anche in casa a guardare Game of Thrones.

E poi, va beh, la cosa che ci fa felici tutti: quando c’è un bonifico in arrivo.

Lettera d’amore al miglior marito possibile, per me.

Dal mio ex-blog fu Pannolini&Decollètè.

Lo so che non è un post il modo giusto per dire grazie, ma è un modo come un altro per raccontare quanto tu sia speciale per me. Tra i tanti ho scelto te: scelta arguta la mia. Eppure all’inizio mica lo sapevo. Sono andata a naso, e per una volta l’istinto ha detto giusto. Continua a leggere Lettera d’amore al miglior marito possibile, per me.

Terzo trimestre: pensieri e ragguagli sulla seconda gravidanza all’inizio del settimo mese

Barcamenarsi nel caos dei mesi di gestazione è cosa tutt’altro che semplice, anche quando ci sei già passata una volta e dovrebbe tutto essere più conosciuto. In realtà il complicato conteggio delle mensilità viene rimosso in tempo zero, e a distanza di quattro anni nel cervello non c’è altro che una tabula rasa.

Ci ho messo un buon quarto d’ora ma, calendario alla mano, sono infine riuscita a capire (forse) che proprio oggi entro nel settimo mese, varcando la soglia del terzo trimestre: quello più duro, dicono; quello che alla fine ti scoccia e non se ne può più; quello delle caviglie gonfie e i calci da karateka dal di dentro della pancia; quello che vorresti piegarti per allacciare le stringhe ma col piffero che ce la fai.

Le differenze con la prima gravidanza non si contano. È cambiata la gestazione, è cambiato il contesto, sono cambiata io.
Quand’ero in attesa di L. ho riposato tanto. Dormivo fino a tardi e passeggiavo spesso, complice la necessità di staccare prima dal lavoro (sono andata in maternità anticipata) e l’assenza di pargoli in età prescolare per casa. Cucinavo, mi coccolavo con lunghe docce e frizioni di oli vari, mi dilettavo a cucinare cibo sano e girovagavo per negozi per neonati.

Oggi il riposo è qualcosa che non vedo nemmeno con il binocolo: L. mi vuole per sé, la casa (più grande di prima) pure, il cane ha le sue esigenze, e per il momento continuo a lavorare la giornata piena.
P., mio marito, mi aiuta ma, ‘nzomma, non è che apporti grandi vantaggi (voi non diteglielo però, che lui s’impegna tanto). Dormo pochissimo, e la forzata limitazione della caffeina non aiuta. E nemmeno l’astensione da un sacrosanto e rilassante calice di vino ogni now and then, come dicono le persone cool.

A dirla tutta, nonostante buona parte dei nove mesi siano dietro alle mie spalle e non possa sdraiarmi senza ricevere un calcione nello stomaco, abbia avuto nausee e acidità di stomaco e stia soffrendo molto di più i malesseri tipici della gestazione rispetto alla prima gravidanza, non credo di essere ancora consapevole al 100% di essere incinta.
Quasi come non abbia il tempo di pensarci nella quotidianità, spesso e volentieri mi dimentico di questo pancione, salvo poi avere un’improvvisa illuminazione quando mi accorgo che no, in questo piccolo spazio non ci passo, o che arrampicarmi per raggiungere il maglione in cima all’armadio mi costa più fatica del previsto. O tutto il resto. Sarà anche che indosso quasi sempre vestiti larghi e quasi nessuno si accorge della situazione, se non esplicitamente informato, e dunque non ricevo mai alcuna piccola premura (saltare le file al bagno e quelle cose lì).

È una sensazione ben strana, e non avulsa da qualche senso di colpa per la poca attenzione che mio malgrado dedico a me stessa (e indirettamente a V.) durante questo periodo delicato.

Comunque sia, nel trimestre che ho davanti sarà doveroso entrare al davvero nell’ottica del parto in avvicinamento.
Dovremo scegliere un ospedale e visitarlo, organizzarci logisticamente per la gestione di L. mentre sarò ricoverata, preparare il borsone da portare con me, tirare fuori da solai e cantine (e pulire) quel che si può riciclare e comprare il resto. Preparare L., e prepararci a dare il meglio di noi come genitori, per gestire probabili gelosie e altrettanto probabili carenze di sonno.

Per ora L. sembra aver preso bene la notizia dell’arrivo della cicogna, ma credo che dopo la nascita qualche piccolo screzio sarà inevitabile: a quattro anni non dev’essere per nulla facile passare da essere l’unico cocco di casa a fratello maggiore, con le piccole responsabilità quotidiane che questo ruolo comporta.
Un aneddoto: è stato pochi giorni fa che, parlando a V. attraverso il mio ombelico, L. l’ha così informata: “Ciao V., sono L. Io sono il tuo capo“. Mette subito le cose in chiaro, molto bene. Molto, molto bene. Forse sarà più dura del previsto.

Ci aspettano mesi intensi davanti ma, ehi, come si dice: il meglio deve ancora venire.

Pensiero. Di docce novembrine e sorrisi all’incontrario

Sono giornate uggiose d’autunno, delle quali anche io come Battisti mi domando il colore – quello che spunta da uno spiraglio del monotono pastrano che avvolge l’aria e il cielo.

La doccia bollente è, in questo periodo dell’anno, uno dei momenti migliori della giornata, seguito a ruota dal rintuzzarsi sotto il piumone alla sera, guardando cartoni animati o leggendo libri per bambini insieme a L.
In quel cubicolo stretto, con il getto forte diretto sulla nuca e respirando il vapore reso aromatico dal bagnoschiuma, le tensioni si sciolgono e riesco infine a scoprire i colori più vividi del cielo. Continua a leggere Pensiero. Di docce novembrine e sorrisi all’incontrario

Maternità. Un racconto patchwork con le canzoni degli 883

Dal mio ex-blog Pannolini&Decollètè. Una delle tante lettere a mio figlio.

C’era una volta una ragazza nata negli anni ’80. Questa storia riguarda ognuno di noi. Racconta di un Viaggio Al Centro del Mondo, che prende il via da due lineette rosa e un pensiero: Lo sapevo che sarebbe finita così: siamo teste di cazzo noi! Continua a leggere Maternità. Un racconto patchwork con le canzoni degli 883

La descrizione di un bacio

Dal mio ex-blog Pannolini&Decollètè. Una delle tante lettere a mio figlio.

Nota per L., il mio bambino:
Amore mio, aspetta un po’ prima di leggere questa pagina. È sempre meglio 
imparare con le proprie ossa come ogni bacio sia un racconto unico che due persone scrivono rubandosi la penna.
E se cambia la persona, cambia anche la storia; ma quando la narrazione è così bella, gli innamorati ne bevono senza saziarsi ancora e ancora, e la sua musica accompagnerà le loro vite per sempre, dentro al bene e in fondo al male. Continua a leggere La descrizione di un bacio

Bullismo: un’esperienza, raccontata col senno di poi

Dal mio ex-blog Pannolini&Decollètè. Una delle tante lettere a mio figlio.
Premessa: in questo post ho usato tante parole forti. Parole aspre che non amo, ma che in certi casi non si possono evitare. Buona lettura.

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Di infanzia, di adulti e di curiosità

All’essere adulti servirebbe una buona dose d’infanzia per non perdere la curiosità.
E io, che della mia vita fino ad ora non ci ho capito un mazzo, mi ritrovo ogni giorno più curiosa verso un mondo che avevo chiuso fuori dalla porta.

Mi è servito tornare a lavorare per tornare in me. Non sto dicendo che il lavoro fuori casa sia la soluzione ideale per ritrovarsi, ma certamente è stato per me una buona medicina.
Ero arrivata al punto di non aprire più i giornali, non guardare la TV (cosa che comunque continuo a fare con riserva, per scelta ponderata), non ascoltare più la radio. Vivevo in una bolla, chiusa al mondo e indifferente, bagnandomi le labbra con poche stille d’informazione e disinformazione.
Non volevo sapere delle brutture della vita, non mi interessavo ai dibattiti, ero arrivata a non leggere quasi più: chiaro che, a un certo punto, questo muro mi ha fatto più orrore dell’orrore che temevo di trovarne al di là, nell’universo oltre la muraglia – che comunque era l’universo vero.

Ho iniziato a sentirmi vuota e, lasciatemelo dire, pure un poco istupidita. E nonostante la difesa tout-court dell’ignoranza (finanche la sua assunzione a valore) si stia imponendo come valore dominante, ecco, io nell’ignoranza (dal verbo ignorare, ricordiamolo sempre) non ci sguazzavo bene. Io avevo sete di sapere, di conoscere: la curiosità batteva in petto più forte anche del cuore.
Mi sono rattristata, non ricordavo più come fare per uscire da questa spirale. Vi sembra stupido? Anche a me. Eppure, fuori allenamento com’ero, distinguere il vero dal falso mi pareva un ostacolo tutt’altro che secondario.

Tornare nel mondo esterno e adulto, vivere la quotidianità fuori di casa, mi ha aiutato a coltivare la curiosità, nel bene e nel male; ora sono un po’ più arrabbiata di prima, ma molto più consapevole.
E cerco di coltivare questa curiosità buona come fosse un piccolo fiore. Anzi, diciamo che la ascolto come un canto e da lei mi lascio guidare, che i fiori che m’incrociano sono destinati a morte certa ‘ché il mio pollice più che verde è nero come la pece.
Man mano che il mio bambino cresce, mi rendo conto che questa curiosità buona – e non voglio dimenticare quest’aggettivo, fondamentale per scremare il fare gossip dalla voglia di capire il modo – è proprio la stessa che muove ogni sua domanda, ogni suo passo dentro al mondo.

Che splendida cosa, la curiosità (buona)!

È in tutti quei perché a cui rispondiamo – o davanti ai quali non sappiamo cosa dire.
È nell’amore per le storie e nello sguardo fisso sui documentari (al momento solo di animali).
È nel “mamma cucino con te, così mi fai vedere!” – non è sessismo, ma se lasciassi la cucina in mano a mio marito mangeremmo tutti i giorni pasta al tonno, suo eccelso e unico cavallo di battaglia.

E quando inizi a sfamarti, scopri mano a mano che hai sempre più fame. E vuoi sempre di più, e non ti accontenti mai.
Capisci che in fondo non sai niente (Jon Snow, aggiungeremmo noi fanatici di GOT), ma va bene così: è un motivo in più per far crescere la tua curiosità.
E ti trovi dentro a un cul-de-sac che però non è poi così male, perché serve a farti diventare grande anche quando adulto lo sei già.
E come sempre, ti trovi a pensare che i “grandi” più liberi sono quelli che restano dentro un po’ bambini.

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