Barcamenarsi nel caos dei mesi di gestazione è cosa tutt’altro che semplice, anche quando ci sei già passata una volta e dovrebbe tutto essere più conosciuto. In realtà il complicato conteggio delle mensilità viene rimosso in tempo zero, e a distanza di quattro anni nel cervello non c’è altro che una tabula rasa.
Ci ho messo un buon quarto d’ora ma, calendario alla mano, sono infine riuscita a capire (forse) che proprio oggi entro nel settimo mese, varcando la soglia del terzo trimestre: quello più duro, dicono; quello che alla fine ti scoccia e non se ne può più; quello delle caviglie gonfie e i calci da karateka dal di dentro della pancia; quello che vorresti piegarti per allacciare le stringhe ma col piffero che ce la fai.
Le differenze con la prima gravidanza non si contano. È cambiata la gestazione, è cambiato il contesto, sono cambiata io.
Quand’ero in attesa di L. ho riposato tanto. Dormivo fino a tardi e passeggiavo spesso, complice la necessità di staccare prima dal lavoro (sono andata in maternità anticipata) e l’assenza di pargoli in età prescolare per casa. Cucinavo, mi coccolavo con lunghe docce e frizioni di oli vari, mi dilettavo a cucinare cibo sano e girovagavo per negozi per neonati.
Oggi il riposo è qualcosa che non vedo nemmeno con il binocolo: L. mi vuole per sé, la casa (più grande di prima) pure, il cane ha le sue esigenze, e per il momento continuo a lavorare la giornata piena.
P., mio marito, mi aiuta ma, ‘nzomma, non è che apporti grandi vantaggi (voi non diteglielo però, che lui s’impegna tanto). Dormo pochissimo, e la forzata limitazione della caffeina non aiuta. E nemmeno l’astensione da un sacrosanto e rilassante calice di vino ogni now and then, come dicono le persone cool.
A dirla tutta, nonostante buona parte dei nove mesi siano dietro alle mie spalle e non possa sdraiarmi senza ricevere un calcione nello stomaco, abbia avuto nausee e acidità di stomaco e stia soffrendo molto di più i malesseri tipici della gestazione rispetto alla prima gravidanza, non credo di essere ancora consapevole al 100% di essere incinta.
Quasi come non abbia il tempo di pensarci nella quotidianità, spesso e volentieri mi dimentico di questo pancione, salvo poi avere un’improvvisa illuminazione quando mi accorgo che no, in questo piccolo spazio non ci passo, o che arrampicarmi per raggiungere il maglione in cima all’armadio mi costa più fatica del previsto. O tutto il resto. Sarà anche che indosso quasi sempre vestiti larghi e quasi nessuno si accorge della situazione, se non esplicitamente informato, e dunque non ricevo mai alcuna piccola premura (saltare le file al bagno e quelle cose lì).
È una sensazione ben strana, e non avulsa da qualche senso di colpa per la poca attenzione che mio malgrado dedico a me stessa (e indirettamente a V.) durante questo periodo delicato.
Comunque sia, nel trimestre che ho davanti sarà doveroso entrare al davvero nell’ottica del parto in avvicinamento.
Dovremo scegliere un ospedale e visitarlo, organizzarci logisticamente per la gestione di L. mentre sarò ricoverata, preparare il borsone da portare con me, tirare fuori da solai e cantine (e pulire) quel che si può riciclare e comprare il resto. Preparare L., e prepararci a dare il meglio di noi come genitori, per gestire probabili gelosie e altrettanto probabili carenze di sonno.
Per ora L. sembra aver preso bene la notizia dell’arrivo della cicogna, ma credo che dopo la nascita qualche piccolo screzio sarà inevitabile: a quattro anni non dev’essere per nulla facile passare da essere l’unico cocco di casa a fratello maggiore, con le piccole responsabilità quotidiane che questo ruolo comporta.
Un aneddoto: è stato pochi giorni fa che, parlando a V. attraverso il mio ombelico, L. l’ha così informata: “Ciao V., sono L. Io sono il tuo capo“. Mette subito le cose in chiaro, molto bene. Molto, molto bene. Forse sarà più dura del previsto.
Ci aspettano mesi intensi davanti ma, ehi, come si dice: il meglio deve ancora venire.