All’essere adulti servirebbe una buona dose d’infanzia per non perdere la curiosità.
E io, che della mia vita fino ad ora non ci ho capito un mazzo, mi ritrovo ogni giorno più curiosa verso un mondo che avevo chiuso fuori dalla porta.
Mi è servito tornare a lavorare per tornare in me. Non sto dicendo che il lavoro fuori casa sia la soluzione ideale per ritrovarsi, ma certamente è stato per me una buona medicina.
Ero arrivata al punto di non aprire più i giornali, non guardare la TV (cosa che comunque continuo a fare con riserva, per scelta ponderata), non ascoltare più la radio. Vivevo in una bolla, chiusa al mondo e indifferente, bagnandomi le labbra con poche stille d’informazione e disinformazione.
Non volevo sapere delle brutture della vita, non mi interessavo ai dibattiti, ero arrivata a non leggere quasi più: chiaro che, a un certo punto, questo muro mi ha fatto più orrore dell’orrore che temevo di trovarne al di là, nell’universo oltre la muraglia – che comunque era l’universo vero.
Ho iniziato a sentirmi vuota e, lasciatemelo dire, pure un poco istupidita. E nonostante la difesa tout-court dell’ignoranza (finanche la sua assunzione a valore) si stia imponendo come valore dominante, ecco, io nell’ignoranza (dal verbo ignorare, ricordiamolo sempre) non ci sguazzavo bene. Io avevo sete di sapere, di conoscere: la curiosità batteva in petto più forte anche del cuore.
Mi sono rattristata, non ricordavo più come fare per uscire da questa spirale. Vi sembra stupido? Anche a me. Eppure, fuori allenamento com’ero, distinguere il vero dal falso mi pareva un ostacolo tutt’altro che secondario.
Tornare nel mondo esterno e adulto, vivere la quotidianità fuori di casa, mi ha aiutato a coltivare la curiosità, nel bene e nel male; ora sono un po’ più arrabbiata di prima, ma molto più consapevole.
E cerco di coltivare questa curiosità buona come fosse un piccolo fiore. Anzi, diciamo che la ascolto come un canto e da lei mi lascio guidare, che i fiori che m’incrociano sono destinati a morte certa ‘ché il mio pollice più che verde è nero come la pece.
Man mano che il mio bambino cresce, mi rendo conto che questa curiosità buona – e non voglio dimenticare quest’aggettivo, fondamentale per scremare il fare gossip dalla voglia di capire il modo – è proprio la stessa che muove ogni sua domanda, ogni suo passo dentro al mondo.
Che splendida cosa, la curiosità (buona)!
È in tutti quei perché a cui rispondiamo – o davanti ai quali non sappiamo cosa dire.
È nell’amore per le storie e nello sguardo fisso sui documentari (al momento solo di animali).
È nel “mamma cucino con te, così mi fai vedere!” – non è sessismo, ma se lasciassi la cucina in mano a mio marito mangeremmo tutti i giorni pasta al tonno, suo eccelso e unico cavallo di battaglia.
E quando inizi a sfamarti, scopri mano a mano che hai sempre più fame. E vuoi sempre di più, e non ti accontenti mai.
Capisci che in fondo non sai niente (Jon Snow, aggiungeremmo noi fanatici di GOT), ma va bene così: è un motivo in più per far crescere la tua curiosità.
E ti trovi dentro a un cul-de-sac che però non è poi così male, perché serve a farti diventare grande anche quando adulto lo sei già.
E come sempre, ti trovi a pensare che i “grandi” più liberi sono quelli che restano dentro un po’ bambini.